lunedì 26 febbraio 2007

A Raboni

Quella angelica poetessa che in tanto soavi parole d'amore ha espresso i suo sentimenti (cfr. Valduga), mi ha fatto venire in mente il di lei fedele compagno. Che davvero merita!


Ho gli anni di mio padre – ho le sue mani,

quasi: le dita specialmente, le unghie,

curve e un po’ spesse, lunate (ma le mie

senza il marrone della nicotina)

quando, gualcito e impeccabile, viaggiava

su mitragliati treni e corriere

portando a noi tranquilli villeggianti

fuori tiro e stagione

nella sua bella borsa leggera

le strane provviste di quegli anni, formaggio fuso, marmellata

senza zucchero, pane senza lievito,

immagini della città oscura, della città sbranata

così dolci, ricordo, al nostro cuore.

Guardavamo ai suoi anni con spavento.

Dal sotto in su, dal basso della mia

secondogenitura, per le sue coronarie

mormoravo ogni tanto una preghiera.

Adesso, dopo tanto

che lui è entrato nel niente e gli divento

giorno dopo giorno fratello, fra non molto

fratello più grande, più sapiente, vorrei tanto sapere

se anche i miei figli, qualche volta, pregano per me.

Ma subito, contraddicendomi, mi dico

che no, che ci mancherebbe altro, che nessuno

meno di me ha viaggiato fra me e loro,

che quello che gli ho dato, che mangiare

era? non c’era cibo nel mio andarmene

come un ladro e tornare a mani vuote…

Una povera guerra, piana e vile,

mi dico, la mia, così povera

d’ostinazione, d’obbedienza. E prego

che lascino perdere, che non per me

gli venga voglia di pregare.

Giovanni Raboni, A tanto caro sangue, 1988

martedì 20 febbraio 2007

Un po' di Saba ci vuole...

Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

lunedì 19 febbraio 2007

La quiete dopo la tempesta

Ciao a tutti!

Volevo condividere con voi la mia soddisfazione nell'aver sperimentato in prima persona il clima di serenità e festa al corteo pacifista di sabato a Vicenza. Lo farò pubblicando un'altra poesia dedicata alla città dal (più o meno) celebre Fernando Bandini.

Fernando Bandini

Questo posto amerò più d’ogni altro

A vent’anni sognavo allori.

Dio, che sciocchezza!

Ebbro del fumo della mia sigaretta

andavo incontro ai galli

che cantavano sulla collina,

vedendomi famoso

come Montale, come Sinisgalli

e abbastanza fornito di denaro

per viaggiare.

Poi l’invidia mi ha roso

il cuore vedendo gli altri,

assai più scaltri,

vantarsi d’una partenza

(Roma, Milano).

E intanto il mio astratto furore

tra i vecchi palazzi, al tavolo

d’un tranquillo caffè,

esorcizzava il suo diavolo

contro questa città indotta e bigotta.

Ottocenteschi abbati

scrollavano la testa dalle lapidi

fortemente negando

bigottismo e ignoranza. [...]

Se il verde stelo

che rispunta, se la festa

dei susini fioriti, che amo

malgrado tutto,

dal sonno vi scuotessero, onorevoli

personaggi inghiottiti dal tufo,

se la statua di Venere che ha in testa

il cappello del prete d’Araceli

calasse dalla gronda,

si potrebbe discutere per ore

sui problemi del sesso, sulla vita

della comunità

azzuffandoci nel sole

che scalda la città. […]

Allora, cosa dite? (Non rispondono,

è inutile sperare che si sveglino

i vecchi abbati

al rintocco di aprile.

Hanno avuto una vita civile

con qualche intoppo,

hanno fatto il possibile

per ingannare il prossimo e se stessi,

e alla fine hanno fatto anche troppo). [...]

Tutte le cose trascorrono in fretta

ed io rimango

ancora qui nella città natale.

Il mio cuore è un pluviometro,

esponendo la testa alle ventate

so la velocità del temporale.

E un giorno con un pugno schiaccerò

la cupola di rame del Palazzo

della Ragione,

ma sempre in ogni stagione

questo posto amerò più d’ogni altro.

(da In modo lampante, 1962)

giovedì 15 febbraio 2007

Per Vicenza

La poesia di oggi la vorrei dedicare alla città dove lavoro e a cui sono legato per vari motivi: Vicenza, il mio capoluogo di provincia, che tra l'altro in questi giorni è oggetti di sproloqui politici e televisivi (non c'è più nessuno che parla del vero problema, cioè la questione della base americana!).

Comunque: torniamo alla poesia, e precisamente alla voce del vicentino Gino Nogara, che così ha immortalato la città del Palladio.

Mie strade (Gino Nogara)

Hanno voci cangianti le mie strade

e suoni e volti docili con esse.

Fra i muri dei cortili,

le facciate eleganti,

le stinte dei poveri grami, all’anse

dei fiumi attraccano

tranquille.

Fiorisce il tiglio rigoglioso, il platano

semi d’amore pallidi confida

all’erbe, all’acque, alle correnti azzurre […].

Le mie strade segrete.

A notte: il vento dei colli pettegola,

blandisce le foglie degli orti,

con sibili e tonfi ingorga i camini.

Sugli attici bianchi dice racconti

alle statue, e porta odori di menta

e violetta.

La lampadina dal piatto smaltato

dondola molle, sobbalza.



Ciao e buona giornata


Simone

mercoledì 14 febbraio 2007

Benvenuti!

Ciao a tutti!

Mi chiamo Simone Maculan, ho 26 anni e vivo in provincia di Vicenza.
Sono laureato in Lettere e sto frequentando la Scuola Superiore per l'Insegnamento Secondario.

Sono appassionato di poesia del Novecento: vorrei invitarvi, perciò, a condividere su questo blog i testi poetici che ritenete più significativi. Ne può uscire una bella antologia!

Allora a presto! Anzi... dimenticavo di mettervi il testo di apertura.
Parlando di Novecento, direi che è d'obbligo partire da Montale!

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari,il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.


Ciao
Simone